CAMPAGNE SMS SOLIDALE: «LA VISIBILITÀ IN RAI VALE 19MILIONI»

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Intervista al referente della Responsabilità Sociale Rai Roberto Natale, tra i protagonisti di Reinventing 2019. «Nel 2018 abbiamo dato visibilità a 97 sigle; nell’anno precedente le non profit hanno raccolto sui canali televisivi e radiofonici della Rai più di 19 milioni di euro in donazioni».

«Sono un tifoso del mondo non profit». Roberto Natale della Responsabilità Sociale Rai – uno dei protagonisti del grande evento dedicato all’innovazione nel mondo non profit “Reinventing – Fundraising, Communication e Csr” – non fa mistero della sua “simpatia” nei confronti del Terzo Settore, che ritiene protagonista di una «comunicazione ricca di senso e densa di valori civili», ma esposta ad un grande rischio: «l’assuefazione dello spettatore». Una dinamica che può essere combattuta attraverso la «concretezza delle realizzazioni», perché, sottolinea, «se chiedi fondi, è importante anche che tu sappia dimostrare entro breve tempo che uso ne hai fatto».

In occasione di Reinventing, in programma a Milano giovedì 10 e venerdì 11 ottobre, Natale parteciperà al panel “Campagne sociali tra presente e futuro: il ruolo strategico della tv”, parlando del ruolo della Rai, che nel solo 2018 ha dato visibilità a quasi 100 organizzazioni non profit, nella comunicazione del Terzo Settore e fornendo anche alcuni importanti consigli alle onp per rendere il proprio messaggio sempre più efficace. Di seguito qualche anticipazione del suo prezioso intervento.

Roberto Natale, in che modo la Rai sostiene il Terzo Settore?

«Lo fa, in generale, dando conto della sua vitalità e della sua presenza profonda nella società italiana grazie all’informazione fornita da testate e reti. In forma più specifica, la Responsabilità Sociale Rai mette a disposizione dell’associazionismo spazi settimanali nelle trasmissioni secondo tre tipologie: le raccolte fondi attraverso il numero solidale; le campagne di sensibilizzazione (cioè le ‘ospitate’ nei programmi); gli spot sulle attività delle associazioni. Nel secondo e nel terzo caso non è possibile sollecitare offerte in denaro, ma sono comunque spazi utilissimi a far conoscere le attività delle organizzazioni».

Da cosa deriva la scelta di creare, in Rai, una vera e propria area dedicata alla Responsabilità Sociale?

«Lo fanno ormai tante imprese private. Sarebbe paradossale se non lo facesse il servizio pubblico, che tra i suoi principali doveri ha – dice il Contratto di Servizio, cioè l’accordo con lo Stato che stabilisce i compiti della Rai – quello di promuovere la coesione sociale. La Responsabilità sociale è quel settore che dà voce al lavoro di cucitura sociale che le onlus e i volontari fanno ogni giorno nel corpo del Paese. Aggiungo, con qualche orgoglio, che sono spazi di comunicazione apprezzati dalle associazioni e dal pubblico. Solo un paio di cifre: nel 2018 abbiamo dato visibilità a 97 sigle; nell’anno precedente le non profit hanno raccolto sui canali televisivi e radiofonici della Rai più di 19 milioni di euro in donazioni. Sono le organizzazioni stesse a dirci che, nelle loro raccolte, il servizio pubblico vale almeno il 70 per cento del totale».

In che modo sono cambiate, negli anni, le attività e le iniziative della Rai in favore del sociale?

«Sono cresciute in corrispondenza della crescita che c’è stata nella società. “In principio fu Telethon”, ma quel modello di raccolta fondi poi è stato adottato da tanti. Per il servizio pubblico questo ha comportato anche la necessità di organizzare nel modo più efficace un sostegno al Terzo Settore del quale la Rai deve comunque rendere conto con trasparenza. Intendo dire che le richieste per avere accesso ai palinsesti tv o radio (ovviamente sono passaggi gratuiti) sono molte di più degli spazi disponibili e dunque la Rai si è data autonomamente già da qualche anno regole su tempi e modalità delle domande e criteri che permettano una rotazione delle voci del non profit».

Non è semplice raccontare in tv la mission di una organizzazione non profit. Cosa rende un messaggio davvero efficace agli occhi dei telespettatori Rai?

«Non è semplice soprattutto perché il settore ormai è affollato. É una fortuna che questo accada, perché esprime la ricchezza civile della nostra società, ma certo complica la vita comunicativa di ciascuna sigla, che deve farsi notare in un panorama fitto di voci simili alla propria e tutte dotate di buone/ottime capacità mediatiche. Credo che l’efficacia del messaggio sia soprattutto legata alla concretezza delle realizzazioni: se chiedi fondi, è importante anche che tu sappia dimostrare entro breve tempo che uso ne hai fatto. E qui dobbiamo essere anche noi Rai ad aiutare di più le associazioni. La trasparenza delle raccolte in Rai è totale, viene rendicontato fino all’ultimo euro ricevuto con gli sms. Ma questo rendiconto sempre più deve diventare anche un racconto in tv: “sei mesi fa vi abbiamo chiesto soldi per una casa-famiglia, oggi vi mostriamo le immagini dell’avvio dei lavori”».

Il suo lavoro la mette in contatto, ogni giorno, con la trasmissione di messaggi da parte del Terzo Settore. Quali sono, secondo lei, gli errori più comuni commessi nella comunicazione legata al sociale?

«A me pare che la comunicazione del Terzo Settore abbia raggiunto livelli assolutamente professionali. Nel dare questa risposta, ammetto di non essere “imparziale”: sono un tifoso del mondo non profit, perché è una comunicazione ricca di senso, densa di valori civili, in un sistema mediatico come quello italiano nel quale sugli smartphone i video più cliccati sono quelli di Temptation Island e alcune tv hanno dato credito per mesi alle finte nozze di Pamela Prati con Mark Caltagirone. La comunicazione sociale deve solo evitare il rischio dell’assuefazione dello spettatore».

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